Un breve e intenso libro di filosofia tratta il tema dell’infanticidio perpetrato dalle madre: un argomento difficile e scomodo, di cui purtroppo le cronache si sono dovute occupare e di cui si dovrebbe parlare di più. E prima.
MATERNITÀ E SACRIFICIO
Anne Dufourmantelle, Catelvecchi Editore,
Prima edizione Agosto 2019, Roma, € 5,00
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Un testo filosofico che tratta il tema della maternità e dell’infanticidio, argomento a tutt’oggi scomodo e difficile da trattare, oltreché orrororifico.
Questo breve testo di filosofia (lo leggete al bar in un’ora e mezza come ha fatto la sottoscritta) è di Anne Dufourmantelle, filosofa, scrittrice e psicanalista e con grande sensibilità tratta l’argomento delle madri che uccidono i propri bambini.
Madri che uccidono i propri figli: come è possibile?
La domanda che chiunque si porrebbe, e tra le righe lo fa anche l’autrice, è “come può una madre uccidere il proprio bambino?”
L’autrice in questione, è morta nel 2017 a poco più di 50 anni mentre cercava di salvare la vita a due bambini che stavano affogando nel mare burrascoso a Saint-Troipez.
I bambini si sono salvati mentre la Dufourmantelle, no.
Strano destino per colei che ha parlato al mondo di maternità e sacrificio eppure in questo specifico testo non c’è nessuna parola di riprovazione per le madri che hanno ucciso i loro figli.
L’infanticidio perpetrato dalla madre si apparenta al suicidio
Secondo l’autrice l’infanticidio si apparenterebbe al suicidio: il bambino crescendo nel corpo della madre non sarebbe solo un corpo estraneo a quest’ultima ma diventerebbe durante i 9 mesi del concepimento e poi fuori, anche parte di se stessa.
Quindi uccidendo il suo bambino, ucciderebbe una parte di sé.
Con l’uccisione del proprio figlio si realizzerebbe per la madre e per il figlio il ritorno ancestrale e primordiale in quello che per definizione è il posto più sicuro al mondo, il grembo materno.
“E se la maternità, lontano dai rassicuranti cliché che oggi ci cullano, non avesse cessato di essere una fonte di terrore?”
La maternità come fonte di terrore (e depressione)
Non so se anche voi madri che mi state leggendo avete mai provato una qualche forma di terrore nel diventare o essere madri.
A me è successo durante la prima settimana da che avevo scoperto di essere incinta.
Subito alla notizia ho reagito con grande gioia ed entusiasmo, ma poi avevo appena iniziato a seguire i miei nuovi impegni teatrali per l’estate come attrice, dovevo partire subito, mi aspettavano una settimana di prove ad Asti su un testo alfieriano.
Quella settimana è stata terribile, il test di gravidanza aveva segnato due linee ma non avevo avuto il tempo di fare le analisi del sangue e durante il primo giorno di prove il regista ci disse: “Se qualche ragazza è incinta è meglio che lo dica subito perché faremo un lavoro fisico piuttosto duro”. Non mi era mai capitato prima.
Lì per lì non lo dissi, non ne ero certa di esserlo ma ero terrorizzata dopo queste parole e tuttavia non avevo intenzione di rivelare i miei fatti personali ad un gruppo di sconosciuti e così dissi solo che avevo da poco avuto un’operazione nella zona genitale e quindi dovevano tutti stare molto accorti a darmi delle spinte o toccarmi la pancia e per quella settimana me la cavai così… impanicata!
“Scoprire di essere incinta e andare nel panico”
Ero in una città sconosciuta, Asti, con un nuovo gruppo di lavoro, con questa gigantesca notizia che cresceva dentro di me!
Mi sembrava d’impazzire, ero completamente terrorizzata. Come avrei fatto a continuare a fare l’attrice? Come avrei mantenuto il nascituro con il mio lavoro a provvigione?
Ho sempre pensato che prima mi sarei sistemata con il lavoro, avrei fatto carriera, avrei realizzato il mio sogni d’attrice, mi sarei mantenuta con quello che avevo sempre desiderato di fare dall’età di sette anni e quello per cui avevo da allora sempre dedicato tutta me stessa. Lo studio, la recitazione, il teatro.
Ma come spesso succede la vita è quello che succede tra un progetto e l’altro e questo è quello che è accaduto a me.
La settimana dopo sarei andata in vacanza con il mio compagno, il futuro padre, ma tutto toccò la soglia dell’inverosimile. Invece di godermi le spiagge di Zante le ho passate nel minuscolo ospedale dell’isola, con la febbre a 41, una sepsi in corso ed il rischio di friggere il feto che stava dentro di me per le alte temperature del mio corpo, ed io che in tutto questo, nel bel mezzo di un agosto torrido, tremavo di freddo ed il mio unico desiderio erano delle coperte di lana.
Cosa succede nella mente (e nel corpo) di una donna terrorizzata dall’essere o diventare madre
Perché mi è accaduto? Cos’è successo dentro di me?
Medicamente parlando si trattò solo di una cistite asintomatica che si era diffusa nel sangue e quindi era divenuta sepsi ma mentalmente cosa mi è accaduto? Non è che i pensieri di morte ed inadeguatezza tra il voler essere madre ma l’impossibilità di conciliare lavoro e maternità mi avevano fatta ammalare a tal punto che adesso rischiavo di uccidere il feto dentro di me?
Devo essere sincera, ci ho pensato.
Ho pensato che forse non ero pronta, che non sarei stata in grado di gestire la cosa, che avrei perso tutto quello che ero riuscita a guadagnarmi fino adesso con fatica, da poco infatti lavoravo per un’importante compagnia teatrale di Vicenza, molto forte nel territorio ed avevo appena debuttato come protagonista del testo più famoso di Anna Bonacci, “L’ora della fantasia”.
Non sto qui a raccontarvi tutti i dettagli, sappiate solo che entrambe siamo sopravvissute, senza danni visibili, io e mia figlia siamo attualmente sane come delle pescioline.
Tutto sta andando secondo i piani, non sempre i miei ma adesso posso dire con immensa gioia e verità che amo mia figlia più di me stessa, quindi direi che nel mio caso, sia piuttosto improbabile che diventi una matricida anche se è necessario ammetterlo, in potenza, lo siamo tutte.
Però il dubbio mi rimane, non è che i miei pensieri di inadeguatezza hanno trasformato la vita in qualcosa di mortifero?
Dare la vita, secondo la Dufourmantelle, è anche dare la morte
Ritornando al testo della Dufourmantelle, capisco che dare alla vita significa anche dare la morte. Nel momento in cui diamo alla vita, la vita porta in se stessa anche la morte ed il destino di una madre consiste nella separazione.
La vita adulta si sancisce inevitabilmente con la separazione dalla madre, la madre fa al figlio un dono immenso, “quello di essere nato per se stesso e non per e da lei: ciò che mette fine alla tratta del sacrificio è proprio questo dono non corrisposto. Quello che la madre deve sacrificare è il fantasma dell’identico, dell’identità raddoppiata, della perfetta corrispondenza con un bambino nato dalla stessa carne, e questo esige la separazione che, talvolta, viene vissuta come una perdita irreparabile.”
Cos’è l’infanticidio secondo Maternità e Sacrificio
Cos’è dunque l’infanticidio secondo l’autrice ?
“…è il lato oscuro di una maternità che non può attuare una separazione se non dando la morte, come se donare la vita fosse in uno specchio il contrario del gesto che la rende felice. Dando la vita infatti, la madre mette al mondo un bambino comunque mortale, promesso alla morte.”
Perché da madre ci si trasforma in matricide
Cosa vorrebbe realizzare la madre matricida?
La morte del proprio figlio per sua stessa mano porterebbe a rompere questo rituale di vita e morte, una sorta di temporalità differente, l’atto sacrificale avrebbe così per scopo quello di far cessare questo ciclo macabro, mortificante, del riciclaggio dell’identico, dell’alterità schiacciata in una temporalità che le assegna sempre lo stesso destino.
Possibile solo perché il bambino è inerme, nel senso che il bambino non ha ancora preso coscienza di sé in tutto e per tutto. Infatti il sé del neonato va a formarsi lentamente, per molti mesi, successivi alla nascita. Egli crede ancora di essere un tutt’uno con il corpo della madre, “il rivestimento progressivo dei successivi involucri sensoriali gli permetterà l’uscita da questo primo stato d’indistinzione e libererà l’accesso al corpo identitario, al corpo-Io, ovvero quello che Didier Anzieu ha chiamato l’Io-pelle del piccolo (1995).”
Medea, la matricida per eccellenza
Come non portare ad esempio Medea, la matricida per eccellezza?
La Dufourmantelle si sofferma sopratutto nella lettura che ne dà Christa Wolf (2001), nella quale Medea diviene la vittima sacrificale per eccesso di verità. Il segreto che scopre nella cripta reale (l’infanticidio di una bambina) le si ritorcerà contro sotto forma della morte dei propri figli.
Christa Wolf rianalizza il mito di Medea trovando in quell’omicidio non una scusante ma un altro colpevole, un trauma nascosto di cui l’intera città ne è colpevole. “Prima di tutto Medea non è solo una madre ma è anche una maga, una donna selvaggia che all’epoca significava voler dire, una donna che fa tutto di testa sua e perciò l’autrice Christa Wolf lascia intendere che Medea non poteva aver ucciso volontariamente i figli, Medea non è una maga perversa ma una donna libera che scopre un antico crimine nascosto dalla coppia reale. La città è stata fondata sul crimine, e il crimine di Medea sarà quello di averlo scoperto.
Quindi il suo sacrificio esorcizza un trauma antico, come forse fa ogni sacrificio e la Dufourmantelle ritiene che di fronte a un infanticidio bisognerebbe sempre porsi prima delle domande sul bambino ucciso in precedenza, nel segreto delle famiglie, senza che nulla sia stato dichiarato”.
Ma a chi è indirizzato questo sacrificio?
La Dufourmantelle ci dice che questo tipo di sacrificio è “una celebrazione incestuosa”. La madre non ha trovato il cammino della vita che riserva una parte alla morte purché la vita possa crescere. […] “L’infanticidio si realizza perché nella mente della madre il bambino già non esiste più. Il bambino ha il potere di restituire il non-luogo, meraviglioso e atroce, da cui proviene.”
Ma la crudeltà del genitore dice la Dufourmantelle viene da molto lontano, spesso queste madri non sono nemmeno consapevoli di ospitare.
L’infanticidio è il punto di cecità collettiva
Come nella Medea di Christa Wolf anche la Dufourmantelle sostiene che l’infanticidio è il punto di cecità collettiva, tanto ci è difficile immaginare la gratuità del male verso il bambino.
“Tuttavia è nostra responsabilità pensare la nostra colpa collettiva di fronte alla passione che si mette nel non voler sentire, né vedere, né comprendere quando la voce dell’infanzia ci rimanda alla promessa non mantenuta di una vita meravigliosa e lontana da ogni pericolo.”
Madri che uccidono i figli: non ci sono risposte
Personalmente non pretendo di avere una risposta; riguardo ad un argomento tanto delicato mi accingo in punta di piedi e provo almeno a ragionarci sopra e cerco nel mio piccolo di avervi in qualche modo reso sensibile ad un argomento per la maggiore parte della persone innominabile.
Madri che uccidono i figli in preda a depressione post parto: l’importanza di parlarne e di avere qualcuno vicino
Nella mia piccola esperienza di donna e di madre so che tutto quello che è un problema irrisolvibile lo è solo perché non se ne è potuto parlare prima e non c’è stato uno spazio d’ascolto e di comprensione.
Mi auguro sempre che tutte le madri abbiano una persona vicina che possa ascoltarle incondizionatamente senza che mai si sentano derise, inadeguate o giudicate dai pensieri di morte che affiorano nella loro mente.
Ricordatevi che non siete sole e tutto può essere sanato.
Con affetto
Martina Sperotto