Può far sorridere una frase del genere detta da una bambina che non ha ancora 4 anni. Ma quando mia figlia Diana, in questo periodo post quarantena, mi ha detto “Non voglio crescere! Non voglio essere grande!” mi sono dovuta fermare a riflettere…
Fra le lacrime, ho dovuto chinarmi per sentire cosa dicevi visto che sei alta solo un metro: “Io non voglio essere grande! Voglio rimanere piccola, non mi piace crescere!”
Dopo due mesi casalinghi in quarantena abbiamo ricominciato ad uscire, sono ricominciate le tue corse e i nostri “Diana, piano! Diana, stai attenta! Diana, aspetta… vai piano!”.
E, come da copione, i tuoi capricci e:
“Mamma, in braccio”
“Ma amore, sei grande: mamma non ce la fa a prenderti in braccio!”
E a 16 kg, con i suoi 42 anni, mamma effettivamente non ce la fa a prenderti in braccio. Ogni volta che mi scappa un “sei grande!” – e in genere ci sto molto attenta – mi mordo la lingua. Solitamente, protesti un po’ poi o arriva papà forzuto o riprendi a camminare.
Invece l’altro giorno sei scoppiata in un pianto a dirotto e mi hai detto, “Io non voglio crescere, non voglio essere grande… non mi piace!”
E ho capito che, come al solito, voi bambini sentite e capite tutto.
Gli effetti della quarantena sui bambini piccoli, anzi grandi
Hai sentito quel sei grande legato al non poterti prendere in braccio come uno strappo. E ho pensato a quanto abbiamo chiesto a voi bambini in questo periodo. A quanta incredibile maturità hai dimostrato tutte le volte che mi riassumevi le regole della pandemia prima di uscire “Mamma, mettiti la mascherina! Mamma, non toccare le persone che c’è la malattia” mentre passavi davanti allo scivolo facendo finta che non esistesse.
Sarete la generazione dell’asilo con le mascherine, degli scivoli transennati con i nastri dei lavori in corso, dei virus disegnati a fumetti, della paura di abbracciarsi, delle feste di compleanno in videoconferenza, della buonanotte dei nonni sullo smartphone, della scuola, sì, ma scuola di igiene, di come si lavano bene le mani, di come si usa il gel disinfettante, di come non devi toccare assolutamente niente.
Come dobbiamo comportarci noi genitori con i nostri bambini in questo periodo senza scuola?
E allora i tuoi tre anni e mezzo, l’età che mi aspettavo ti avrebbe traghettata verso nuove autonomie – liberarsi dell’abitudine di succhiarsi il pollice o di addormentarsi cercando con la manina la tetta di mamma, un letto tutto tuo che avevamo già visto e scelto insieme – sarà l’eta che ricorderai come quella de “La Malattia”, come hai imparato a chiamarla.
E io come il periodo in cui ho capito ancora di più la grande responsabilità di essere genitore, ma anche la fallibilità di essere umani e impotenti di fronte a certe cose. E l’esercizio pericoloso di imputarsi tutte le colpe, di cercarle minuziosamente nelle azioni di ogni giorno.
In quest’ultima arte, io sono maestra. E pare che con me ci siano molte altre mamme.
Imparare dagli esempi del passato può essere utile a una generazione che non ha vissuto catastrofi
Torno indietro con la memoria e penso ai miei tre anni e mezzo, 1981/82 e, sì, ricordo cose spiacevoli di quel periodo: gli uccellini caduti dal nido e morti sul mio terrazzo, nonna che piangeva al funerale di nonno, papà che mi ha salvata dal soffocamento e le macchine della polizia a sirene spiegate in Via del Corso mentre cercavamo riparo dentro il primo negozio disponibile, in uno strascico di paura del terrorismo degli anni ’70 appena conclusi.
Torno ancora più indietro. Ai tre anni e mezzo di mia nonna. Anno domini 1919/20. Suo padre, pacifista ma capitano dei bersaglieri, appena tornato dalla guerra e lei che, non avendolo mai visto prima, non voleva farlo entrare in casa. Il traumatico reinserimento nella sua vita di questo uomo che poi avrebbe adorato.
Che cosa possiamo imparare dal passato? Che sicuramente entrambe di quel periodo ricordavamo i giochi, l’amore della famiglia e un senso di protezione, non certo colpe – presunte – dei genitori.
I bambini non ci guardano con tono accusatorio, non nel modo irrimediabile che immaginiamo noi, almeno.
I bambini non ci giudicano, ma ci amano incondizionatamente.
I bambini però vogliono delle risposte, e le risposte devono contenere il più possibile la verità.
E quella verità deve sempre contenere una promessa, ossia che noi continueremo ad amarli incondizionatamente e a cercare di fare tutto quanto in nostro potere per rendere la loro vita migliore.
Noi siamo probabilmente la generazione di genitori più colta, preparata, accorta della storia dell’umanità: l’altra faccia della medaglia è pensare di avere la responsabilità e il pericoloso potere – e dovere! – di risolvere ogni cosa se solo ci impegnamo e studiamo abbastanza.
Una pandemia, allora, può essere l’occasione buona per guardarsi allo specchio e dire sto facendo del mio meglio, ma non sono onnipotente. E se sto facendo del mio meglio mio figlio sicuramente se ne accorgerà.
Così lascio che Diana si succhi ancora il dito, ma non troppo perché le ho detto che le potrebbero venire i denti storti, la notte ci addormentiamo core a core, ma poi la metto nel suo letto (dal quale torna puntualmente verso le 2) e se mi scappa un sei grande per essere portata in braccio a passeggio, mi mordo la lingua ma poi penso che sono umana (e che ho un disco intervertebrale schiacciato).
Allora in braccio, sul divano, ci può stare tutto il tempo del mondo.
Mentre le dico che è stata davvero una bambina brava e coraggiosa a stare in casa, a capire la situazione meglio di tanti adulti e che va bene se piange quando le mancano i suoi amici. E che me lo deve dire, che deve parlare con me perché c’è una cosa che mamma può sempre fare: ascoltare.
“Mamma è andata via la malattia? Adesso possiamo andare al parco e al mare?”
“Quasi amore. Mamma non lo sa, aspettiamo insieme cosa ci dicono: ma intanto al parco e al mare ci andiamo, sempre insieme”