Cerca
Close this search box.

Che esempi dare ai bambini.

Buongiorno mamme (per un attimo mi sono sentita l’educatrice dell’asilo nido di mio figlio che ci chiama tutte con lo stesso “nome”), sono Ilaria, di professione “mamma di Michelangelo (2 anni) e di Nicole (9)” e, per diletto, Psicologa clinica e specializzanda in psicoterapia cognitivo relazionale (per capirsi quella che si basa sulla teoria dell’attaccamento…scuola scelta, ovviamente, per deformazione professionale).


Ho accolto con piacere l’invito di scrivere per il bellissimo blog di Roma 03 perché, da mamma, so bene quanta fame di conoscenza, riguardo le tematiche dell’infanzia e la relazione con i nostri cuccioli, abbiamo noi lettrici di questa interessante ed utile guida.
Proprio in considerazione dell’importanza che per noi mamme riveste l’attenzione all’infanzia, sembra davvero difficile pensare quanto invece l’interesse della psicologia nei confronti dei bambini nasca in tempi relativamente recenti. In passato una concezione di “infanzia” non esisteva affatto (e tantomeno esisteva una tutela della stessa): il bambino era visto come un uomo immaturo e imperfetto, privo di dignità e di finalità proprie e il ruolo dell’educatore doveva fondarsi sull’autoritarismo e sulla disciplina oppressiva.
I primi a “vedere” i più piccoli furono soprattutto educatori, medici, religiosi e filosofi i quali, nei primi anni del ‘700, cominciarono a ragionare su quali fossero i metodi migliori per allevarli ed educarli.


La concezione di J. Locke, relativamente alla mente del bambino, era quella della cosiddetta “tabula rasa”, intendendo con questa espressione che lo sviluppo infantile dipendesse esclusivamente dall’esperienza e dall’educazione, e che fosse “compito degli adulti” scrivervi quanto ritenessero opportuno. Gli autori successivi hanno sostenuto il contrario, nel tentativo di restituire dignità ed identità al bambino, ritenendolo dotato di morale e sentimenti innati, nonché di partecipazione attiva al processo evolutivo dato dall’interazione con l’ambiente.


Sebbene numerosi studiosi abbiano, con le loro ricerche, cercato di confermare l’importanza dell’innatismo sull’evoluzione dei bambini, l’influenza dell’ambiente su questi ultimi resta assolutamente determinante, sia positivamente che negativamente.
Una delle nostre maggiori responsabilità, dunque, è essere d’esempio ai bambini, perché i più piccoli, soprattutto nei primi 5 anni di vita, imitano tutto quello che vedono negli adulti.
Gli studi, e gli esperimenti, condotti da A. Bandura (psicologo noto soprattutto per il suo lavoro sull’apprendimento sociale) dimostrano che buona parte dell’apprendimento umano avviene tramite il contatto con l’ambiente sociale: è osservando gli altri che acquisiamo determinate conoscenze, capacità, strategie, convinzioni e comportamenti.


Onde evitare di tediarvi a lungo sul complesso esperimento condotto da Bandura tra il 1961 e il 1963 su un gruppo di bambini di 72 bambini/e in età prescolare (e 24 bambini/e come gruppo di controllo), mi limiterò a dirvi che egli dimostrò quanto l’essere esposti a scene di aggressività (in questo caso contro un bambolotto gonfiabile – la famosa Bobo Doll) porti i soggetti a riproporre un determinato comportamento, tendendo ad imitarlo, ancor più se visto fare da persone che si reputano modelli a cui ispirarsi, che ispirino fiducia o che semplicemente vedono più simile a loro, ad esempio per genere (infatti, i bambini maschi, tendevano a riprodurre il comportamento violento soprattutto se, a metterlo in atto, erano uomini…e questo dovrebbero far riflettere molti padri).


Questo può farci comprendere, con semplicità e chiarezza, quanto un bambino esposto a scene di violenza ed aggressività nell’ambiente domestico abbia più probabilità di altri coetanei di sviluppare esso stesso un comportamento violento, sia in futuro (riproponendolo e mettendolo in atto contro quelli che un domani saranno i suoi figli e/o il/la partner) che nel momento presente (con il gruppo dei pari e con i fratelli/sorelle).


Quando parliamo di violenza non possiamo scindere quella fisica da quella psicologica, sessuale o economica, perché tutte le molteplici forme e sfaccettature che la condotta violenta e prevaricatrice può assumere (nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di violenza perpetrata dal maschio adulto presente in casa) sulla donna o sul bambino concorrono nel loro insieme a produrre un danno (tanto fisico quanto psicologico)
La violenza psicologica (paralizzare l’altro) ed emotiva esercitata dal coniuge/convivente sulla moglie si concretizza in una serie di atteggiamenti intimidatori e minacciosi, ma anche denigratori, volti a sopraffare, dominare e ad umiliare la donna, ridicolizzarla, farla sentire inferiore e non degna, cercare di isolarla dal resto del mondo, limitarne la libertà personale, ma anche mentirle, tradirla…


Questa condotta, violenta e perversa, messa in atto dal “carnefice”, esprime il tentativo di quest’ultimo di “liberarsi” (attraverso la ripetizione inconsapevole di comportamenti abusanti che egli stesso ha probabilmente subito da bambino ad opera delle proprie figure genitoriali, in particolare della figura materna).


Essenza di tale perversione è la conversione di un trauma infantile in un (illusorio) trionfo adulto, vendicandosi degli umilianti traumi infantili vissuti a causa dei genitori, spostando però tale vendetta su qualcuno che con quei traumi non c’entra assolutamente nulla.
La violenza di tipo fisico non riguarda solo l’aggressione fisica grave, che causa ferite richiedenti cure mediche di emergenza, ma anche ogni contatto fisico mirante ad incutere timore nella vittima ed a renderla sottomessa all’aggressore. Ad esempio: spingere, strattonare, impedire all’altro di muoversi trattenendolo, rompere o danneggiare oggetti nella vicinanza della vittima, picchiare, prendere per il collo, schiaffeggiare, mordere, causare bruciature di sigaretta, tirare calci, pugni, strappare i capelli. Tutti atti che spesso vengono agiti di fronte ai bambini che, come abbiamo evidenziato, venendo ordinariamente esposti alla violenza, subiscono un trauma tale da produrre effetti rilevanti sull’adattamento, sullo sviluppo della persona e sull’emergenza di forme di psicopatologia sia a breve che a lungo termine.


L’Infant Resarch osserva gli effetti del fenomeno dell’esposizione dei figli alla violenza intra-familiare sulle relazioni primarie che il bambino instaura con le sue principali figure di attaccamento: vivere quotidianamente, come “testimone silente”, la violenza agita su altre figure significative e/o di riferimento, determina il rischio della perdita di sicurezza e senso di protezione necessari per lo sviluppo precoce del senso del Sé del bambino. Quest’ultimo percepisce di non potersi più fidare di quel necessario punto di riferimento, di quella persona che dovrebbe rappresentare un “porto sicuro” ed al contempo una guida per esplorare il mondo, quella protezione così fondamentale per la sua “sopravvivenza”.


Nel maltrattamento fisico (sia per chi lo subisce che per il bambino che assiste) la componente psicologica più pesante consiste nell’imprevedibilità dell’aggressione, in quanto qualsiasi motivo può essere un pretesto scatenante e che, quindi, fa vivere in un perenne stato di ansia.


Vorrei concludere invitandovi a non drammatizzare laddove, nel vostro ambiente domestico, capiti una lite, si alzi la voce, scappi anche una parolaccia…siamo umani, può capitare a chiunque ed in qualsiasi famiglia, ciò non porterà assolutamente gravi danni al bambino, né tantomeno alla stabilità delle vostre relazioni intra-familiari, cerchiamo sempre di contestualizzare in modo razionale.
Le vere problematiche, quelle che lasciano cicatrici indelebili sui nostri figli, sorgono quando tali modalità di relazione divengono quotidiane, cristallizzate nel tempo ed assolutamente disadattive.
E’ importante ricordarsi che il nostro comportamento è l’esempio che ispira i nostri figli: le esperienze ripetute nel tempo, come ci comportiamo e come ci relazioniamo a loro crea quei Modelli Operativi Interni che rappresentano, appunto, la capacità dei nostri figli di interiorizzare e ripetere tali modelli di relazione, e che diventano per il bambino – e in seguito per l’adulto – un modo per prevedere la realtà e l’altrui comportamento e costruirsi un’idea sul mondo, che condizionerà il suo modo di vivere ed interagire con gli altri.


Il futuro dei nostri bambini si costruisce su ciò che vivono nel loro presente, buon percorso.

Dott.ssa Ilaria Maione

Altri post