Quest’anno abbiamo lasciato la parola a Gianluca Cordella, papà de #LaCaposala Angelica e #Attilanontetemo Davide, per spiegarci da vicino come l’universo maschile vive la Festa del Papà, fra risate e lacrime… di gioia!
La Festa del Papà è quel giorno in cui l’uomo – inteso come genere – piange. Puoi essere quello che sulla panca piana ieri ha alzato 120 chili o quello che dirige una grande multinazionale e gioca a carte al tavolo… del G8. Puoi essere il più Alfa dei maschi in circolazione.
Ma a San Giuseppe sei fottuto dalla lacrima. Scientificamente. E anche un po’ storicamente: in fondo le peripezie del povero Giuseppe sono note a tutti e il fatto che la festa sia intitolata a lui forse un minimo di empatia inconscia lo genera.
A ogni modo, non è questo il punto. Il nocciolo della questione è la lacrima che sgorga in ogni era della vita, anche se con motivazioni profondamente differenti.
Si comincia con la commozione pura, quella delle prime feste del papà. Quando tutto è nuovo e quando il regalo in realtà è confezionato più dalle maestre del nido che dai propri figli. Quando quell’innocente disegno colorato dalla bambina ti fa esplodere il cuore perché lei, con quelle manine microscopiche, ha colorato per te. E anche se oggettivamente il disegno è colorato male (ma a una piccoletta di due anni non puoi chiedere di più) ed è disegnato peggio (infatti decidi di cambiarle il nido l’anno successivo per affidarla a maestre un po’ più portate per le arti grafiche), quel piccolo pezzo di carta ti sembra una roba che “L’uomo vitruviano” potevi usarlo per scriverci la lista della spesa sul retro. E, dunque, piangi.
Poi arriva l’età delle poesie e quella vocina che recita rime baciate essenziali che ti sembra di aver già sentito in un pezzo di Fabri Fibra ti perfora l’anima. E, dunque, piangi. Fabri Fibra prova anche a farti causa, ma tu lo affronti con la sicumera con cui Al Bano ha sconfitto in tribunale Michael Jackson, tanto sei sicuro del fatto tuo. O suo… del bambino, insomma. E si va avanti così, con lo sviluppo del figlio che ogni volta riserva sorprese diverse e tu, papà, che sei sempre lì a piangere.
Poi qualcosa cambia. Il bambino diventa ragazzo e si trasforma in un essere tutto sommato detestabile. E tu, padre, sperimenti a livello di apertura sociale un percorso alla Benjamin Button. Più passano gli anni e più regredisci e quel brillante giovane uomo che aveva conquistato la mamma con mille interessi diversi, una favella avvolgente e una vis comica incontenibile lascia il posto a una specie di Sapiens, le cui capacità di interazione si manifestano più che altro con difficoltosi monosillabi. Dunque la partita del regalo diventa complicata come la conquista del Trono di Spade. Il ragazzo, che tra i suoi simili si esprime essenzialmente con turpiloquio e rutti, brancola nel buio delle idee. E tu, papà, avendo scelto il ficus sul balcone come nuovo modello di vita, non dai uno spunto che sia uno. Il risultato è che iniziano a fioccare regali inutili, se non dannosi. E, dunque, papà, piangi. Un po’ perché non sai come si è arrivati a tutto questo e un po’ perché non sai come sposare l’esigenza di nascondere il pratico tagliaerba da giardino a pannelli solari con la necessità di tenerlo sempre a portata di mano casomai alla figlia venisse prima o poi in mente di verificare il tuo reale gradimento del presente.
Tutta questa dissertazione è diventata chiarissima nella mia mente l’anno in cui decisi di regalare a mio padre un utilissimo aspirapolvere da auto che si utilizzava con l’accendisigari e che produceva come effetti collaterali, il colpo della strega, lo scaricamento della batteria della macchina e l’ingombro di metà del bagagliaio quando veniva riposto. Ora: mio padre era uno che più che passare un’ora incastrato nell’abitacolo a raccogliere le briciole sotto il sedile avrebbe venduto l’auto per comprarne una nuova pulita. E io lo sapevo, ma nella frenesia da regalo creativo lo avevo ignorato. Ma quando nel suo sguardo lessi l’assenza di chi stava ideando mentalmente un piano per fingere il furto della macchina e, con essa, dell’aspirapolvere, capii.
E quello che capii era che le lacrime adulte sono, sì, per un regalo assurdo, ma sono anche lacrime di nostalgia per quei disegni colorati male che non torneranno più e per quelle poesie in rima AABB che risuoneranno solo in qualche vecchio video, ma sono anche lacrime di fierezza per una bambina che è diventata una dottoressa con i controfiocchi o per un ragazzo che voleva solo calciare un pallone – e non era manco tanto in grado di farlo – e meno male che si è rotto il crociato sennò non sarebbe mai diventato un bravo parrucchiere. Lacrime amare per quel fetente (quella fetente) che non aveva voglia di studiare e ha sprecato la sua intelligenza e che se lo sapeva che non era la donna giusta (l’uomo giusto) poteva aspettare a farci un figlio. Lacrime di una vita che meno male che t’hanno regalato i nani da giardino decorati a mano – quelli sì che fanno piangere – sennò pure quest’anno facevi la figura di quello che si commuoveva.
Un doppio appello, per chiudere.
Papà, non so dove sei e se mai ci rivedremo in qualche angolo della galassia, ma sappi che alla prima festa del papà utile ti regalerò i cavetti per ricaricare la batteria della macchina e un buono da dieci ingressi per l’autolavaggio.
Figli miei, se leggerete queste righe quando sarete in grado di farlo, non spaventatevi e non andate in ansia per i regali. Il cuore di papà è pronto ad accogliere tutti gli aspirapolvere da auto per accendisigari che avrete voglia di regalarmi. E anche la soffitta lo è.
Gianluca Cordella
Papà di professione